Rivista Il Garda provincia veronese
Quél contà da Berto su la rivista mensìl "Il Garda" in italiàn, la provinçia veronese.
Un póchi de articoli del grande Barbarani che ne porta a spasso par la provinçia veronese dal Garda a le montagne, par contàrne come l'éra la vita de un tempo. No gh'è stà tante publicassioni, ma de artisti e giornalisti ghe n'è passè tra el 1926 e 'l 1932. Tra le diciture de questa rivista catémo:"Nel 1926 - RIVITA MENSILE - PATRONATO DELL'ENTE FIERA CAVALLI DI VERONA FIERA NAZIONALE DELL'AGRICOLTURA "Ufficiale per gli Alti dell'·· ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL MOVIMENTO DEI FORESTIERI ", SEZIONE VENETA E DEL GARDA. Nel 1927 " RIVISTA DEL COMITATO PROVINCIA LE PER IL TURISMO - VERONA". bóna letura!
ARTICOLI:
- LE ROCCHE DI VALEGGIO E LA CANZONE DEL MINCIO
- A SPASSO SU LA GARDESANA
- LA FIERA DI CAVALCASELLE
- I BEI NUMERI DE LA "SORTE" A NEGRAR
- VOCI FRA LE PIETRE DI VERONA ROMANA
- PASQUA MONTEBALDINA
LE ROCCHE DI VALEGGIO E LA CANZONE DEL MINCIO
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" del setémbre 1927
Il bucefalo, di quella mattina di Luglio, che ebbi la ventura di assoldare alla stazione di Villafranca, doveva, di recente alla così certo, essere stato acquistato detta "Fiera de le Mosche" ricorrenza annuale della storica cittadina, poichè, un nuvolo delle medesime, certo incluse nel contratto, erano lì pronte a seguirlo, nelle sue fatiche cotidiane, come una scorta di onore. Tenaci, fedeli e pungenti sì erano, da farlo galoppare, povera bestia, su per la strada Valeggio in preda alla disperazione. E la gente, intimidita, dalla foga belligera del destriero, commentava incerta, alludendo alla mia persona: -Certo, quel signore lì, ha paura di perdere il treno della Mantova-Valeggio-Peschiera, una ferrovia, intorno alla quale da parecchi anni si discorre sul serio come di una cosa di là da venire e si dà per fatta... Invece io andavo a vedere un castello in aria, come si presenta quello di Valeggio sul Mincio. Il vetturale imbaldanzito della cavalcata, se ne approfìttò per chiedere un supplemento sul pattuito e mi lasciò premurosamente sulla soglia dell'albergo dell' "Angelo", dove subito, alla mia volta, mi sentii trafiggere i polpacci da certe punture, che io da pnma ritenni effetto di un ristagno sanguigno, ed invece erano pulci .... M'accorsi allora d'essere piombato in pìeno mercato, confuso nella baraonda delle femmine, che se la intendono fra loro in un linguaggio semilombardo e contrattano certe bestiole quasi implumi, appena allevate al hecchime, con quella biblica noncuranza, che i figli di Giacobbe cedevano il piccolo Giuseppino, sul mercato egizio, per una pipa di tabacco. Erano pulcini candidi, anatrottoli gialli come lo zafferano, polli d'india dal capi no grigio e grazioso, tutte care animelle pigolanti la tenerezza del fresco nido di vimini e amorosamente riparati dal sole sotto i grandi fazzoletti rossi e turchini.
Borghetto sul Mincio è meta della gita castellana. E' la strofa, viva, canora, che ammorbidisce i ruderi solitari delle roccie lassù, con un frastuono attenuato e profondo di acque correnti, recanti al confratello Turrito, il saluto dei Castelli del Garda. La strada già piana, si sprofonda in volute giardiniere, nella valletta del Mincio e pare voglia sconfinare presto per altra regione. Ad ogni modo io discendo con passo dolce e canto per non perdere un filo della nota canzone. Che cosa è questo Borghetto, che canta e rugge nel tempo istesso, come una Sfinge? E' un pittoresco fascio di case, di ponticelli, di piccole lingue di terra, di molini, di ruderi.... E' vivificato e commosso, da un impeto d'acque purissime, da un ondeggiare di verde che si bagna e respira in un silenzio di valle e di collina, che conosce il segreto e le sepolture di molteplici fatti d'arme. E più mi accosto al fiume, più la canzone lirica raggiunge la gamma epica, il castello appare più alto e dominante, sempre più malinconico, anche nella freschezza del mattino. E le quattro torri, per giuoco d'ottica e di posizione sgambettano un ballo tondo; e quella di mezzo, la più agile e pronta si toglie dalle più sdentate, più rotte, le abbandona, se ne allontana, le nasconde o le svela nella loro potente od umiliante rovina. Anche le Bicocche, hanno un loro modo di gestire! Adesso, sul ponte (li Borghetto, l'amico Mincio abbandona il metro della canzone e somiglia al rumore di un treno che passa. Si stacca su dal castello come in linea ideale, una cortina di muraglia in corda rallentata a congiungersi col ponte Visconteo. E' questo un magnifico e raro campione di architettura militare, che ha le arcate sott'acqua e tutte le attitudini che si dimandano ad un ponte con i suoi merli, le file e la relativa passeggiata. E' un ponte o una diga? Ha tutte le prerogative del ponte, ma sarebbe anche adesso una formidabile diga:... ostacoli, come dicemmo, una piccola rosta foggiata ad isolotto, agita in delirio, il suo frascame che la riveste, lo inzuppa e poi lo ritoglie dall'acqua, lo satura e lo innebbria di aria fresca e di gocciole... E attorno la diga, la corrente è così rapida, così limpida, così gaiamente impazzita dalla sua stessa corsa, che sembra passi sotto di me un tumulto di giovinezza eterna, di quella giovinezza troppo vissuta in fretta e che poi si cheta come quest'acqua del Mincio che da quì a qualche ora andrà ad impaludarsi sotto Mantova. E da sotto questa diga, sembra sgorgare, scaturire, una massa d' acqua perenne e celestina, che s'avvia rapida verso tne. A destra una larga ferita nel ponte, lascia intravvedere delle collinette verde chiaro coronate da qualche nera alberella solitaria. Con le braccia appoggiate alle spallette fisso la rapida. Essa non mi dà vertigini, ma fascino. E le piccole e le grosse correnti saltano fuori da tutti i cantoni, si accavallano, Si mescolano di sorpresa, sbucano fuori di sotto i porticati, le dighe, le paratoie dei piccoli opifici meccanici, ed in mezzo a questa gazzarra volteggiano graziosamente e battono allegre le loro pale molini. Nel bel mezzo della corrente, che dilaga in furia, traverso cento Il rumore antico ormai famigliare non è monotono. Par che addormenti e ci sveglia nello spasimo di un dolce supplizio. V'è in quest'acqua il riflesso argentino e il fruscìo della seta; c'è tutto il fascino dell'attimo fuggente, quello al quale si vorrebbe dire arrestati! E' un attimo di continuità, che dalla sua maggior corsa nuova forza attinge e bellezza.
Mi stacco mal volontieri dalla spalletta del ponte e per un viottolo a gradinata salgo al castello, fra una ridda di farfalle volteggianti sopra una fioritura singolare di campanule; ma i fiori sembrano maledetti. Appena staccati avvizziscono fra le mani. Quanta solitudine! E una voce beffarda sembra sibilare:
- Credi tu, che i fiuorellini di campo, siano come noi castelli ?
Ed un'altra vocetta maligna :
- E credete voi castelli di reggervi eterno?
Ma questi ruderi, mantenuti così, ispirano severità e raccoglimento.
Ai quattro angoli dello spiano si elevano quattro torri un dì unite da forti bastioni. A mezzodì dello stesso, fra le due torricelle laterali, ma un po' più verso quello di sud ovest, s'eleva ancora svelta sottile e quasi integra la rocca quadra centrale, munita di Brevi feritoie e di qualche pertugio in alto. Come in tutti i castelli di difesa, questa Rocca era l'ultimo propugnacolo, contro gli assalitori per la qualità dei mezzi disponibili : sassi, olio bollente,
fuoco greco, ecc., ecc., una bottega di generi micidiali. Guardando la rocca mi sovviene di un certo Caronte, uomo giovane e forte, famoso per nobili salvataggi nel Mincio, il quale andava a caccia di colombi torraioli inerpicandosi su per le anfrattuosità dell' angolo della torre a piedi nudi. Un giorno, restò dentro con la testa in uno di quei nidi angusti. Un'altro giorno precipitò e morì. Su in aria un grosso falco (e non ce lo metto mica io con la fantasia) si libra un venti metri più alto della rocca e sembra immobile, come fosse poggiato con gli artigli ad. un fao invisibile. Esso agita impercettibilmente l'estremità delle ali e sembra lotti contro corrente, ma l'occhio vigile e grifagno spia certamente una preda. Questa brutta bestiaccia,
padrona lei della situazione quasi decorativa e necessaria per un vecchio castello, forse
penserà male di me. E forse crederà che io mi sia portato dietro la colazione!
l valeggiani hanno per il loro castello delle comparazioni curiose:
Specchiando per esemp1o contro luce una fetta troppo sottile di salame o prosciutto, diranno :
Se ghe vedi la Roca del Castel!
Parlando di una persona superba, penseranno:
Quel li el se credi de essar più alto de la Roca!
Di persona o famiglia che stenti a trovar casa:
Ghe tocarà à nar star su le Roche!
Per una persona timida:
Se no'l vedi pù la so Roca el mori!
Di persona modesta:
La sta resse ben sul Castel!
Di persona perplessa, indecisa:
El g' à sempre paura che ghe casca adosso el Castel!
Brevi note storiche: Il Castello di Valeggio costruito dal Comune di Verona, passò ai signori
della Scala nell'anno 1374 e nel 1387 ai Visconti. Giovanni Galeazzo Visconti lo ripristinò e ricostruì il famoso ponte a paratoie sul Mincio con l'intendimento di deviarne le acque e togliere Mantova ai Gonzaga. Il castello fu ritolto a1 Visconti nel 1404 da Guglielmo della Scala, cui susseguì nel dominio Francesco da Carrara. Poi fu riconquistato ai Vi. ~conti dai capitani Gonzaga e Dal Verme, ma nel 1438 lo ebbero i Veneziani. Dopo la lega di Cambrai il castello fu dato inpegno per 8ooo ducati a certo Ciamonte segretario d'affari di Luigi XII. I francesi presero subito in considerazione il pegno, ma la Comunità Valeggiana riuscì a snidarli aiutando l'opera offensiva di Marcantonio Colonna. Ma anche i soldati del Colonna s'addormentarono nelli oz1 della canzone del Mincio e si svegliarono sotto le trombe di Bartolomeo d'Alviano inviato nel 1612 dalla signoria Veneta. Lasciato in custodia al provveditore della terra, Zaccaria Ghisi, alla sua morte, certi signori Boldieri lo chiesero in proprietà alla Serenissima. Ma il Comune di Valeggio si oppose e fu suo con l'obbligo di ripararlo. Infatti per mantenerlo in salute i valeggiani molto tempo dopo, pensarono bene
eli cederne un'ala al loro medico condotto, costringendolo lassù dentro una casetta bianca, con un poggiuolo e vasi di fiori e la targa dell'ambulanza. Il castello fin dal 1595 non vide più condottieri illustri, quali i più sopra accennati. La sola rocca centrale tenne testa al tempo, rispettata ancbe dalle palle Napoleoniche ed ora si sveglia a primavera soltanto, quando i giovani del paese si radunano lassù a cantare: Intra Marzo in questa tera, a sposar' na puta bela!
A SPASSO SU LA GARDESANA PER LA STRADA CHE NON SAZIA MAI (Solitudini del Garda)
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" del maio 1927
Ma chi ha mai suggerito al mio amico Alessandro, antico castellano di San Giorgio di Val Policella, 1'audace idea di attaccare ad un calesse certa muletta americana che trotta come un distico martelliano, in tempi così calamitosi per i passanti e per i veicoli della patriarcalità? Certo fu un'idea travasata dalle mitiche divinità del pago, di quella, che fu chiamata la valle delle molte cantine... Ma tentiamo la prova!
A Costermano, sui bordi del Garda, una allegra bottiglia di Lugana spumante, come il muso del famoso cavallo di Apelle, valse a smorzare il sapore selvatico di una beccaccia allo spiedo (il viatico della fante votata alle cure del castellano) e a mitigare la prosa giallastra di quelle due fette di polentina croccante cl1e servivano di guanciale alla gustosa bestiola. C'è da far venire 1' acquolina in bocca a commemorare certi episodi, tanto più che nella taverna due graziose creature si preoccuparono non poco per 1'ardimento del nostro viaggio semi argonautico, affidato ad una muletta così piccola e così americana, con tanti assassini in giro; ma 1' amico Alessandro rispose in guascone:- Queste sono inezie per noi ! E il calesse si dileguò fra una pipata di fumo...
Da Garda a Torri, la poetica strada, dapprima ci tenta e lusinga con una serie di casine graziose e di villeggiature di fasto e nobiltà, fino alla Punta di San Vigilio. Poi visto che siamo dei misantropi, degli anacoreti, ci inizia e comunica con la pura intimità della riva lacustre, ne eccita con la fantasia a sfiorare con occhio avido, le fresche nudità delle ninfe e le perfide ma lì e delle sirene del Garda, ci fa sentire con mano maestra le diverse armonie delle onde, che si compongono da sè stesse nella nostra anima in un inno goliardico .. .
Ecco Torri ! - Sostiamo in piazza. - E subito appare il suo primo cittadino onorario, Angelo Dal1' Oca Bianca, 1' illustre pittore del Garda, che ci accoglie con un formidabile e festoso: Ohi là !Evviva! - agitando la clava. Una immensa vela gialla entrava lentamente in porto, manovrando. Era la prima del genere che gli portava il vento della primavera ed egli ben presto ne fu assorto e conquiso. Noi pensiamo ad altro..!
Su per la strada d'Albisano fra gli olivi. In alto la chiesa candida:
Anima dunque olivi,
Ossi da morto che sì sempre vivi!
Pasqua! - Aleluia ! - Festa!
La candida cieseta
drita sul col del monte,
g' à le campane pronte
e la meio pianeta;
i pigni verdi in fondo
che ai monti fa ghirlanda
risponde a ci domanda:
Viva el paron del mondo
che l'è rissussità!
E ride i mandolari
e i fa boche i moràri
e se regola el tempo el rossigno!...
E i gobi e i soti e i storti dei olivi,
ossi da morto che dà passe ai vivi
leva le palme benedete al sol!
Ad osservar bene con pietoso animo un gruppo di olivi, ci appariscono tormentati in tutte le guise da una tortura sapiente ed estetica, che mette nelle loro contorsioni disperate e nel loro spasimo, un sapore di posa classica, che ricorda i migliori episodi tragici della scultura greca qualor si voglia rivestire di polpe questi strani produttori di ramoscelli di pace. Se li prendiamo invece proprio così, come la natura e gli uomini li han conciati, ecco una eterna danza degli scheletri, come quelle che si vedono sulle facciate degli antichi cimiteri di campagna.
Rinuncio a descrivere il meraviglioso tramonto di quella sera sul lago. Aveva del sopranaturale.
Lo descriverò, clicevo tra me, domani a sera. Ma sarà poi lo stesso ? Allora un'altra sera, fino a che morrò col desiderio di farlo mio... Ed anche quello sarà un bel tramonto!
Mattina Si inizia il ritorno delle barche dalla pesca del carpione che è il più gustoso ed apprezzato boccone del Garda, e vive soltanto in questi paraggi di gran profondità. Le barche sono una trentina e tornano quasi contemporaneamente. I pescatori, s1 erano allontanati dal porto verso le cinque del mattino e vi ritornarono freddolosi, avvolti in certi pastrani lunghi e di colore incerto, che danno lor l'aria di tanti giovani di studio di avvocato, a una lira al giorno. Legano le barche agli anelli della banchina, tengono celato il poco o tanto pesce
irretito, per non far saper niente a nessuno; non si parlano, non si guardano manco in faccia; e raccolte le proprie cassettine con il giro del filo e degli ami coi pesciolini di latta, si avviano a casa, per ridursi poi al Caffè Centrale e confortarsi con un bicchierino, davanti la bocca del forno acceso. Arriva un barcone carico di legna da ardere. Porta scritto sμ1la chiglia: "Val di sogno", il nome del barcone. E' legna di Val di sogno, pugni di cenere anch'essa.
La buona leggenda, che perpetua ancor oggi, in Torri del Benaco, la creazione delle "Bele Done" ha per contrasto una realtà nella vicina Castelletto di Brenzone dove esiste virtualmente una così eletta "fabrica de moneghe" (conventi). Ciò non toglie che anche a Castelletto non vi siano delle donne piacenti. Il lago di Garda è bello da per tutto. Perchè non vi si devono giustamente specchiare tutte le donne del lago, che non isdegnano tale rifrazione di bellezza? La muletta ci porta con disinvoltura, noi ed il magnifico esteta del Benaco, fino a Castelletto di Brenzone.
Abbiamo percorso qualche tronco nuovo della Gardesana Verona-Riva di Trento, al di là da venire, allargata e rettificata; e veramente questi saggi saltuari di lavori sono grandiosi e confortanti, se si pensi il disagio meschino e campagnolo della strada vecchia, senza capo nè coda, a continui e pericolosi dislivelli, pittoreca sì ma non degna di farsi baciare i suoi difetti, dalla divinità di un lago. Infatti resti della strada vecchia saltano fuori tronchi o sbocconcellati or qua or là, come gli avanzi inutili e vergognosi di una nobile stirpe decaduta. Ma il lago resta sempre giovine e immutabile! La muletta trotta rasente la spuma dei merletti, di questo paradiso in terra. Non un' anima per la via, non una vela al largo. Forse siamo ornati al tempo delle palafitte? E' in tali condizioni che le anime solitarie ed appassionate si trovano padron: e di questo sogno realtà. Io penso: - Sei tutto mio adesso, sempre mio! Tutta la mia tenerezza ti abbraccia e si discioglie, e s1 profonda in te. Io rivivo una seconda vita nelle tue purissime acque e se fosse permesso dirlo, mi sento anfibio...
Ma guai, se in questo momento il rombo lontano di un motoscafo o la sirena di putacaso uno "Zanardelli" o un " Depretis" venisse a rompere questa giusta esaltazione! Addio presa di possesso del lago, addio palafitte! Appare al di là di un cancello di camposanto, una chiesetta romanica, segata nettamente per metà e per il lungo, come certi martiri, ed appoggiata di peso ad un campaniletto immelanconito dall'ambiente, e semi nascosto fra i pini ed olivi, con una capocchia troppo stretta, troppo bassa a cono, come una berretta da Tony. E' la chiesetta di San Zeno a un chilometro da Castelletto. Sulla cornice della chiesa una croce tagliata nel vuoto.. Più sotto un piccolo portico nella cui breve conca è annidato un affresco. A destra un San Cristoforo con due occhi tondi sbarrati, che regge il consueto Gesù, sotto un tettuccio di protezione. L'amico Alessandro, tondo, sorridente e bonario fa socchiudendo un occhio: - Guarda, guarda là quel Santon. I g'a fato el so cuertesin, parchè no'l se bagna ... -E ammirando la bella chiesetta: - No te par che la se ghe buta ad osso, par farse tegner su? Dentro, la chiesa restaurata di fresco mostra bei capitelli romanici e degli affreschi da ambo i lati
dell'abside, di buona scuola veronese, con colori caldi e ben conservati. C'è tra altro un santo, in prigione, che mette fuori la testa dalle inferriate perchè gliela tronchino. Nell'uscire ci accorgiamo che la chiesetta serve anche di rimessa alla carrozza dei morti; poichè questo è il camposanto del paese. Proseguiamo lentamente, a passo d'uomo. La strada è affossata fra due bassi muriccioli e lo sfogliettar degli olivi, che sembra un batter d'aluccie, verdi sul diritto, chiare sul rovescio... Ogni tanto un cancelletto di legno che porta al lago. Dalle "crode" più basse del Baldo o meglio dalla Prada di Castelletto, rivi d'acqua saltellano giù scintillando sui larghi specchi di lastra nuda, levigata. I tronchi degli ulivi mostrano sui fianchi i bordi delle ferite grossolana mente rimarginate, e sono invasi da muffe giallo-scure e da licheni con efficaci tinte grigio-verde scure. A Castelletto, Dall'Oca, prende subito possesso del porto, vivace e ricco d' ombre e di luci. In quel punto una vela verde da una parte e col rovescio chiaro si allontana dolcemente e richiama tremula, lo sfogliettar degli ulivi di poco prima. Noi pensiamo ad altro.. A destra, più in su, candeggiano in modo straordinario le chiese e la "fabrica delle moneghe."
Dopo colazione c'è un'altra chiesetta antica da vedere quella di Sant'Antonio. Una fanciulla con un mazzo di chiavi in mano ci accompagna. Ma bisogna salire tutta la contrada Bissa che è una delle più ardue e pittoreschee della riviera. L'ingresso alla contrada, per un ardito, appare stretto, opprimente. La via che penetra e si insinua, quasi subito, tra un folto di vecchi fabbricati anneriti dal tempo è tanto erta che i rotabili, anche nella buona stagione, non possono affrontarla e bisogna adoperare le slitte da trasporto per tutto il fabbisogno alla vita e commercio con la montagna. La qual cosa desta già un senso di novità, che si tramuta ben presto in istupore davanti all'imprevisto, di un paesaggio veramente medioevale imprigionato fra muraglie, scalette, portici, loggie e piazzette, così vario, così suggestivo che si pensa come gli abitatori di questi recessi debbano essere avvinti alle loro pietre nere da una malìa, quando a cinquanta metri più in basso turbinano aria, luce, vita, bellezza su di uno sfondo celestiale, orgiastico! E quando un raggio di sole penetra in uno di questi antri a mò della lanterna fumigante di uno sgherro, sembra di veder scuotersi dal giaciglio, qualche vassallo impng10nato a torto, o qualche contessina destinata al chiostro e colta in flagrante amplesso col paggio del suo cuore, come si legge nella Monaca di Monza. Ed invece vi risponde il grugnito di un maiale o il belato di una capretta... L'entusiasmo che ci pervade e fa eco alla gioia sincera del maestro, attira alle finestrelle magramente fiorite, sulla soglia delle cucine che danno sulla scaletta esterna delle faccie rugose di vecchierelle. C'è nei loro occhi tardi, una meraviglia che non sa di sospetto nè di malizia, ma racchiude un pensiero che par ci dica bonariamente: Foghi de paia, siori ! Che i prova lori a vegnèr star qua!!... Il sole scherza a scatti fra quei ruderi, come un f alletto in mezzo alle stregonerie e la strada sale sempre più varia e curiosa e bisogna stare attenti di non sdrucciolare sulla sassata lucida e compatta,
quasi levigata a pomice, dal soffregar delle piccole slitte che si incrociano di continuo trainate da mulette senza ferri agli zoccoli.
- Ecco Sant' Antonio !
- Che sia la seconda metà della chiesa di S.Zeno ? - interroga l'amico Alessandro. Questa tiene più dell'Oratorio; forse era la cappella dell' antico castelletto. Però anche qui c'è un San Cristoforo, che vigila sulla facciata. Dentro, qualche traccia visibile di stemmi gentilizi ed affreschi. Alcuni di questi sono coperti da una copiosa rete di filamenti capillari vegetali, senza dubbio, le propaggini della coltrina d'edera esterna e che succhiando attraverso i muri, vi penetrano per i pori impercettibili. E' commovente un simile attaccamento alle piccole chiesette della fede e dell' amore, che passa anche i muri. Una testa consunta di Madonnina, per questa bizzarra combinazione mostra di aver la veletta. Uscendo dall' eremo, la fanciulla delle chiavi ci indica:
- Quella è la casa del campanaro. Egli stando a letto, mediante un suo congegno di fil di ferro, suona l'Ave Maria della campanella di Sant' Antonio. E l'Angelus la tira seduto a tavola a mezzodì.
Per salire alla casa del campanaro, giriamo quella che è senza dubbio l'antico castelletto. Nella porta d'ingresso si rivelano traccie di ponte levatoio. Poi c'è un passaggio coperto, traccie di archi a sesto acuto, traccie di affreschi. Nella casa del campanaro la comitiva si spande per i diversi e spaziosi locali, e dietro le cataste di legna e cli fieno occhieggiano fascie dipinte a putti, a fiori, a stemmi. Così dietro i letti, gli armadi, le botole sono frammenti di una alta e ricca fascia, che deve certamente aver decorato la parte superiore del salone principale che fu dimezzato ad uso domestico. - L'era el castel del Re Revino ! - spiega la padrona di casa. Ma non sa dir altro.
LA FIERA DI CAVALCASELLE seconda decade di novembre (solitudini del Garda)
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" de genàr 1926
Tre giorni di baraonda in collina, con la neve, con la nebbia, con la brezza novembrina pungente come un pettine d'aghi da scardare la lana, o sotto un sole tepido, che fa pensare alle carezze di una panguta (allo stato di stufa beninteso!). Questa è la fiera delle pazienze e dei buoni propositi. Chi l'à assaporata una volta, vi torna, tutti gli anni, come alla cura delle acque con qualsiasi tempo e col presagio di una lieta sofferenza. Ci va per cementare una promessa di amore o per comperare un vecchio cappotto militaresco, dai veterani del Ghetto veronese o mantovano...! La fiera di Cavaicaselle, non è soltanto il convegno dei giovani "morosi", ma anche la guardaroba dei vecchi cappotti. Chi vi conquista amore, bisogna pure che se lo mantenga calduccio e sicuro, sotto l'usbergo del ministro della guerra! Ma venite un poco con me a questa fiera, che è senza dubbio la più fresca e spigliata della provincia, anche perchè è tagliata dal buon sangue mantovanoed è diventata secolare, sotto l'Alto Patronato del soprastante dirimpettaio Monte Baldo, turgido dei suoi tre mammelloni, che vi si presentano di scorcio!
Sotto il ponte di Peschiera, l'acqua del lago ha dei riflessi e dei gorgogli asfittici, che sanno di lamento e le onde danno delle testate irose contro le potenti basi dei fortilizi, nolenti e dolenti come sono, le poverette, di lasciare il gran padre Garda, là dove il lago delinea la sua parola "fine" ed incomincia a snodarsi il nastro del Mincio. Piovvigina un poco ed io prendo un po' svogliato la superba strada, che mena a Cavalcaselle, in meno di una mezz' oretta. Davanti a me camminano due mendicanti, comparse indispensabili per una fiera che si rispetta. Il più alto di essi, agita un virgulto di siepe e trincia l'aria come per respirarla a spicchi; il secondo agita la "serpentina" (così si chiama in gergo la lingua) che mi incuriosa a seguirlo nel suoi conversari: -Vedi - dice in dialetto bresciano - a Tripoli, i pianta 'na
pianta, e prima che i còga (che raccolgano) la fruta a ghe vol cento ani! Chì (qui) i pianta la polenta ... Coss'è la la polenta? Se no i ghe fa boiar (bollire) drento du pissonsini (piccioni) la fa vègnar i dolori, e i te porta a l'ospedal de Bressa (Brescia). Quello del bastoncino non risponde procede distratto... E l'altro:
- L'Italia non dà mantenimento al soldato, prima che el vaga a la leva, e così un soldà de cavaleria, va per tera, caval e tuto...
E divagando:
- Zanardelli, vedito, l'era un brav'omo!
E infine guardando il cielo:
- Quanta acqua, che el ne mola zò ancò!
- Ed un brivido scuote l'uomo alto e magro dal bastoncino, sotto il pastrano provato a tutti i colori del tempo.
A Cavalcaselle c'è un albergo che ricorda gli antichi riposi di Posta, col sottoportico a due arcate larghe, a mò di terrazza, trasformato in ristorante con le sedie di Vienna e le posate d'alpacca sulla candida intovagliatura. Si intravvede nell'interno il grande focolare acceso da una vasta fiammata, che serpeggia attorno il pentolone, e l'affaccendarsi dei cuochi e fantesche che tirano il collo ai pollastri, mentre gli astrologhi del paese lo allungano a se stessi per scrutare il tempo, arbitro delle fiere all'aria aperta. Tanto per far passare il tempo, scappo a dare un'occhiata lassù in collina, dove fervono i preparativi della vigilia. Sulla sommità tira un vento indiavolato, che turbina intorno le due chiesette della Madonna degli Angeli e di San Lorenzo, le quali stanno chiaccherando tra loro a suon di campanella. I pini che fan mesta corona, si agitano in modo che sembra si tengano la pancia dal gran ridere. Mi riparo dietro una di quelle chiesette a godere il magnifico panorama ripulito dal vento. L'anfiteatro montano, spruzzato di neve recente si allarga maestoso da tutta la corona dei Lessini capitanati dalla Cima di Posta detta la "Carèga" fino alle lontane Alpi Trentine, dei gruppi dell'Adamello e del Brenta. Più accosto a noi il Pastello ombreggia la Val d'Adige con tutti i paesini della Val Policella e dei forti; si vedono: Castel Nuovo, Sandrà, Pastrengo a destra; il Baldo che visto di scorcio sembra molto più alto; il Garda si mostra per tre quarti sotto di noi, con tutta la rivi era Bresciana, fin quasi su a Gargnano. Emergono di lontano, i castelli di Sirmione, di Monzambano, di Solferino; la punta di S. Vigilio e, di volta in volta che il vento spazza via le brume e le nubi, pare che una nuova mano di colore tenga più candide e più azzurre le vette ed i fianchi delle montagne, lo specchio del lago... Le case e le contradelle disseminate qua e là con qualche breve accompagnamento di cipressi, hanno un pallore singolare di peaseggio esangue, ma radioso in tutta la sua fisonomia. E m'attardo ancora un poco in questo affaccendarsi febbrile di una vigilia di fiera. Le prime a guadagnar terreno sono le giostre seguite dai variopinti vagoncini dai colori più spietati, per farsi scorgere dai ragazzi. Ne discendono come dall'arca di Noè, cavallini, berline, cigni, grifi volanti, qualche automobile. Sono montati alla svelta poichè il loro compito è quello di prendere in... giro, la gente. E comincia subito anche la musica disperata sotto questi ombrelloni giganti, che sembrano raggirati dal vento. Al magico segnale della prima giostra, gli uomini con la mazza danno dentro nei paletti con fervore, i cagnolini degli zingari si avvoltolano nel terriccio, per grattarsi a modo loro; si costruiscono scheletri di banchi; i venditori di caldarroste soffiano sul fornello o lasciano fare al vento... I biscazzieri mettono in bilico i tramvai e le ferrovie della... orte. Gli zingari da certi loro vani reconditi dei carozzoni ingegnosamente combinati, traggono fuori una quantità strabili ante di suppellettili, mentre le zingarelle sul margine di un campo, lassù, con i capegli e le sottane al vento distendono le tende colorate ad asciugare sui solchi ed il molinello delle ventate che vi si insinua sotto, rigonfia e solleva ad ondate e cavalloni le tende stesse, come nelle burrasche finte sul palcoscenico dei burattini.
Il servizio di vettovagliamento della fiera ha un'altra formazione. Giungono i primi carri che sembrano sloggi completi di famiglie. Sopra un fondo di legna da ardere, sono accatastati banchi e tavole. Attorno al carro, appesi ai ganci dondolano beata mente pentole e paioli, casseruole e mestoli. Dopo il salotto e la cucina, la dispensa (ceste di polli, formaggi, quarti di vitello, sacchetti di riso) dietro ancora, sempre su di uno spesso fondo di legna da ardere, barili di vino, damigiane, casse di bottiglie. Si capisce, che la legna andrà in fumo ed il vino si prosciugherà nei gorguzzoli. Le botti per l'acqua sono trainate da buoi. Intanto alcuni uomini scavano in un prato. Vi praticano come delle larghe incisioni; ne levano le zolle a fette con l'erba sopra (il " còdego ") e le ammucchiano una sull'altra a rettangolo. Il focolare è fatto!
Quattro grossi pali in croce legati fortemente con bacchette di vimini (le "strope") ed uniti da un travicello formano un gran cavaletto solido, sul quale sono appoggiati dei tavoloni di canna ed ecco la cappa del camino assicurata sotto la quale si allineano le pentole ed i paioli per il risotto, appesi alle singole catene del fuoco, che fanno capo al travicello di collegamento fra le due spalle del cavalletto. La cucina è pronta. Un falò di legna asciuga il focolare primitivo e fa bollire le pentole. I cuochi cominciano già ad apprestare le carni per il giorno dopo. La cucina sparisce ogni qual tratto fra una nuvola di fumo bianco. Un uomo ritto sulla baracca issa al vento, legata fortemente, una bandiera tricolore.- Il colle è conquistato per la ... fiera!
La mattina dopo, mi sono svegliato per tempo all'albergo della Corona d'Italia. Il cielo era un po' incerto e m'avviai di fretta con gli amici, su per la strada larga e tortuosa abbellita da una o due ville signorili. Sono due orbi fino dalla nascita, che ci indicano con i loro lamenti elemosinieri, la via giusta per giungere lassù dove la fiera già s'ingolfa e preme fra le due chiesette e i sei pini, seri ed impettiti per la circostanza. Appena giunti nel fitto della baraonda, lo spettacolo che godiamo ci inchioda al suolo, trattenuti da quel mastice d'argilla
manipolato dalla scarpa grossa, come la creta degli scultori. Siamo sulla cima di un dosso e sotto di noi si distende digradando verso le chiesette, un gran prato destinato ai bovini. Saranno ben cinquecento tra candidi o macchiati, che lo coprono tutto, irti di corna e di code issate in alto, muggenti dal freddo e dall'appetito. Da un lato, un secondo dosso color marrone. Sono cavalli, asini, muli in abbondanza. Poi il campo delle pecore. I maiali scarseggiano, perchè li hanno insaccati quasi tutti. Insomma le due collinette sembrano intabarrate di bestie ed anche questo è analogo alla tradizionale fiera dei cappotti. La chiesetta dedicata alla Madonna degli Angeli, possiede una tavola interessante, dove è dipinta una paffuta Madonnina del quattrocento, che porge la poppa al lattante bambinello. Si racconta, che un prete scandalizzato di quell'atto super-materno ed innoffensivo alla morale, del resto, pensò bene di impatinare di nero quel purissimo e roseo seno di modo che il Bambino distaccò la bocca inorridito. Ma un altro prete più umano sopravvenuto al primo intransigente osservò:
-Come va che questa Madonna, che ha il viso così bianco e rosso, porta un seno di tanto oscuro colore? E gratta, e gratta con delicatezza, scoprì la verità ed il Bambino si riattaccò di nuovo, soddisfatto. Alle pareti della chiesa assieme ad altri, è appeso un quadretto. Tra due alberi della strada che conduce al Santuario un uomo inginocchiato sta puntandosi una rivoltella contro la tempia destra. Sotto si legge: "Sullo scorcio del XIX secolo un divoto di Maria ridotto quasi alla disperazione, prese la strada del Santuario per trovar conforto. Ma ad un chilometro circa tentò di uccidersi con un colpo di revolver che contro il solito non prese fuoco". La Madonna degli Angeli, ne ha fatto molte delle buone azioni, ma il miracolo suo più grande è quello di mantenere alto (oltre che sul colle) il prestigio di questa fiera curiosa e gentile, senza case, senza reclàme, una fiera setupre giovane sebbene centenaria ed inspirata alla buona fede paesana d'antico stampo.
Trattoria ai "Due Galoppini!" Che vuol dire?
- Sicuro, mi spiegano, uno lavorava per il radicale, nel collegio politico di Bardolino, l'altro per il clericale. Sono sempre in lotta fra loro, ma alla fiera di Cavalcaselle accomunano gli interessi e fanno le tradizionali trippe, tipo elettorale, per tutti.
- Altro miracolo clelia Madonna!
Attorno alle due chiesette, mentre lontano ferve il brusìo del mercato bestiame, l'allegria della giostra e qualche colpo di pistola del tiro a bersaglio, è accampato il commercio con le sue bacheche come ai tempi biblici. Nell' atrio del tempio il primo posto spetta ai cappotti militari. Centinaia di contadini del lago e paesi limitrofi, vi accorrono vestiti da borghesi e tornano in divisa, come fossero reduci dal distretto.
Ho visto un vecchio di settant'anni trasformarsi sotto i miei occhi in un brillante sott' ufficiale in cinque minuti, senza scuola di guerra e per poche lire. Uno alle prese con un compratore restio:
- Là ... buta vinti ... buta quindese ... zà quella cambiale de Marzo la pagaremo nel mese de ... Mai (nel senso ambiguo di Maggio).
E così via tra la faraggine degli ombrelli, dei berretti, delle mercerie, fra il pettegolezzo multicolore dei banchi, dei dolciumi e dei giocattoli di sagra, i castelli del mandorlato che piegano sotto il peso della farina, i cento fornelli delle castagne allesso che fumano come turiboli ...
E scivola nella baraonda commerciale e mangereccia, uno sciame di zingare dagli occhi spiritati
e lampeggianti, i capegli corvini scarmigliati, i baffi nascenti, infagottate e tremanti, ma tutte col fatidico mazzetto delle carte in mano. Ora ritte come statue meccaniche su di uno sgabello, ora appoggiate sul dosso di una sedia rustica, raccolte come in atto di preghiera. Passano silenziose, sgusciando; vi sibilano qualche parola misteriosa nell'orecchio, vi tengono prigioniera a una mano...
- Che bel moreto! Quel giovine!?
Eco a voi !. .. Eco a voi !... Le carte sono belle a posto.
La sonnambula: (a due fidanzati) sul finire della lettura sulla mano:
- Ma la g' avarà un piccolissimo difeto, quelo d'èssar gelosa come un demonio!
- No, no! fa la povera giovane, compromessa col suo amore vicino.
La sonnambula: (ad un'altra esile, malata):
- Vi mariterete ad un bel bersagliere e diventerete madre di otto figliuoli. Quattro maschi e quattro bellissime femmine.
Un contadino: Così la podarà mètar su un porsèl!
(Così potrà uccidere il maiale).
Altro contadino: Za la ghi ne fa far, quela lì,
(dei figli).
La fiera e la folla, oramai fuse in un solo baccano, si compongono e si dispongono a dovere, nel lucro e nella gioia.
Il mezzodì sospirato si avvìcìna...
Le campane delle due chiesette gridano tutta la loro sagra; le giostre par vogliano uscire dai perni, i saltimbanchi, montano su di un carro vestiti in costume e tenendosi abbracciati per le spalle ballano ed urlano come ossessi :
- Ohè là ! Ohi là, Oh, Oh, Oh, Eh, Eh !
Comitive di innamorati, giungono alla spicciolata con le sporte piene di ogni grazia di Dio.
Sono le gaie fanciulle del Mincio. Il bel sangue di queste colline si è dato convegno. Si perdono per il campo a cercare un sito nascosto, riparato. "Se 'l sèi a cussè me tolea su 'na carèga'". (Se sapevo che la andava così mi prendevo addietro una seggiola) esclama una giovane con accento 1nantovano, accomodata su di un sasso. "L'è fred qua in tera!" Ed un'altra che conosceva i posti migliori, grida alla compagnia: "Osta, madostena, ma in dove endio. De chi, de chi! (Corpo di Bacco, ma dove andate? Venite per di quà, per di quà!. .. ) Invece sul colmo più comodo della collina, il Campidoglio della Madonna degli Angioli, quella tal solida baracca, piantata la vigilia, rappresenta quanto di più comodo e squisito può offrire la sagra al forestiero. I grandi pentoloni dei quali la serata d'onore scade al mezzodì, fumano come locomotive sotto pressione. Le casseruole e le pignatte di stato minore, una specie di personale di servizio, fremono di intingoli e di salse. Quando si darà il segnale della partenza è segno che il risotto è pronto. Sulla fronte del baraccone, teste e quarti di vitello e di porco, fila di salsiccie, grappoli di selvaggina, trofei di frutta presentano le armi prima e dopo il conto. Una quantità di figure vi si affaccenda in mezzo, a volta intiere a vederle, a volta stroncate dalla fumana come pompieri all'opera, come i monti quando spadroneggia la nebbia... Ed un buon profumo di cibi sani e caldi si spande anche per noi che siamo figli di Dio e gelati come
spumoni alla napolitana.
Una voce gradita: - Pronti il risotto. Pronto lo stufato. Ecco le faraone! Trippe! Ci accomodiamo alla meglio sul terreno disuguale, con molta razione di paglia sotto i piedi, molto risotto davanti , equilibrati su tre gambe di sedia, ingozzati di nebbia, maltrattati dal fumo, ma contenti, felici della meravigliosa semplicità della festa, che continua a svolgersi sotto i nostri occhi, e sicuri che il buon vino nuovo frizzante ci scaccerà il cattivo diavolo dal corpo. Confesso che da quel momento non mi sono più mosso.
I BEI NUMERI DE LA "SORTE" A NEGRAR
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" del aprìl 1930 - Elogio di una villa in Negrar di V.P. contrada "Sorte"
Questa villa fu già degli Allegri, bennata famiglia Veronese. Vi era annessa fra altro una cedraia veramente monumentale, a triplice piano con lo scalone centrale in pietra viva che dà su di un laghetto, cintato pme di pietra. La cedraia che forniva più che cento mila cedri all'anno, fu disfatta nei suoi serramenti, dal susseguente proprietario gen. laracesky; passata in proprietà del filandiere Riva, questi la abbellì ed arricchì di nuove piantagioni e giochi d'acqua. Dal Riva passò al Gen. Serafia e quindi all'attuale proprietario Sig. Vitale Sterzi, il noto produttore di vini di S. Martino B. A. il quale, così, col podere "Conca d'Oro" di S. Giorgio lnganapoltron, si accaparrò uno dei poderi viticoli più stimati della valle, per la squisitezza e varietà delle uve.
I
Dossi in tripudio! Spiriti - di antichi campanili,
festoncelli di grappoli - su viali e cortili;
acque armoniose d'Adige - eterne svegliarine,
maestre di solletico - a Bacchiche colline;
statue del .Settecento - che dal chiuso dei pini
(già cadute in disgrazia - de i ciechi contadini)
par ne vengano incontro - offerendo beltà,
quasi ci ravvisassero - per gente di città ...
Fu già questa dovizia - di paesaggio e mobile
seduzion, che un giorno - sognavo in automobile!
II
Viilaggi muti e assorti - ne la astuzia benigna
di invocare il Signore - per amor de la vigna ;
cappellani, che a decima - de la uva più fina
coltivano la fede - con l'occhio a la cantina;
tempietti romanici - su sè stessi a guatare,
del vinto Paganesimo - le capovolte are (l);
e parlano a San Giorgio - divinità paesane {2)
e affiorano i mosaici - delle ville romane ...
Furono queste fantasime - vere e proprie del Pago
(a Negrar, San Floriano - a Bure e Gargagnago)
Sì, fu questa dovizia - di paesaggiO e nobile
tradizion, che un giorno - sognavo in automobile!
III
Si andava giusto in gita gaia verso la "Sorte"
dove dirò con: Dante - le cose che vi no scorte!
La "Sorte" è un paradiso - di fontanili scherzi,
di cui n· è proprietario certo Vitale Sterzi.
Pedemonte, San Vito.
-Al ponte de la "Saga"
la macchina procede
-dentro un bagno di vaga
confidenza campestre - per dettagli gentili:
"i festoncelli di grappoli
- su viali e cortili" (3).
Una letizia d'archi debba ogni il parroco
- che pensano a un dipresso
- far suo "solenne ingresso"
Ecco, l'indispensabile - druidico molino,
carco d'anni e di muschio - ma fresco e cantarino,
la bottega dei "generi" - comari su le porte,
che velano un sommesso - "L'è el paron de la Sorte"
mentre di "San Piereto" (4)- il campanil, bel bello
insegue 1' automobile - con l'occhio da monello ...
Si monta con baldanza ; - il rombo del motore
mette galline ed anatre - in Comico furore ...
Tosto, là suso, i villici - dan man forte agli arnesi
e di gran lena affannansi - (come in tutti i paesi)
poichè, per metafisica - ligame a la magione,
è sempre l'automobile - che tradisce il padrone!
Sul cancel de la villa - fanno da sentinella
un pastore! d'Arcadia - ed una pastorella,
mentre i nani di pietra - che vegliano le aiuole
danno di fiato ai pifferi - e intrecciano caròle! ...
- Bon giorno, sior paron - Ne par 'na fina un sogno
de vedarlo ... La vaca - l'è tombolà in t'el progno!
- È croà tuti i peri - gnanca boni da torno...
E l'ua?
- Tanta, ma poca... Sior Vitale, bon giorno!
IV
La villa porta in fronte - il motto di « Lux mea >>
È un chiarore di sogno - il raggio di un'idea!
La vasca del giardino - alto, alto zampilla
e di rugiada imperlansi - i fiori della villa,
mentre alle nostre chiacchere - da la voce commossi
verso l'orlo s'affrottano - i pesciolini rossi ...
Le due branche di scala - invitano gli umani
a salir tra spalliere - di rose e di gerani...
Appena dentro in sala - secondo la stagione,
brilla nel fondo un verde - che sa di incantagione !
Un verde smeraldino - tinta pelle di rana,
verde di capilvenere - mantiglia di fontana!
V
Ma quello, che più stuzzica dentro la conca rara,
è il mistero scheletrico - della enorme cedrara ...
È un monumento a:tavico - che visto da lontano
ricorda un mito biblico - un Foro, un Vaticano ...
Un tempo, questa mole - più degna per Sinedri,
dava colore e mosto - a cento mila cedri ...
Ma le piante son morte - dal freddo e tu vedrai
or vigne di Aleatico - pergoie di « Tokai » ...
Quest'ultime, piantate - furon per fantasia
di un generai polacco - magnate d'Ungheria (6).
che per spillar Tocio - ma proprio originale
vi trasportò a vagoni - la terra sua, natale!
VI
A piè de lo scalone - convien l'occhio si pasca
dentro un gran speco d'acqua - ben contenuta in vasca,
dove allignan le tinche - e dove che bel bello
dondolerebbe in grazia - minuscolo un battello!
Ma che dirò degli altri - comodi familiari,
dei vasti, impressionanti - fruttiferi granari:
dinamo per la luce - sentieri da romanzo
perfin la - campanella - che squilla per il pranzo;
palme, magnolie nespole - del Giappone, bambù,
la serra per l'inverno; - che volete di più? ..
Un brolò fa miracoli - un brolo da profeti
e da la valle elevasi - il bosco de li abeti ;
mentre in quel de li ulivi - canaletti sicuri
corrono in equilibrio - su la costa dei muri ...
Un ponticel di legno - immette per graziosa
strada a la radio-incognita - acqua miracolosa,
così che vò concludere - con questa tarantella
l'elogio della villa "Sorte" - in Valpolicella ...
Essa ha tanti bei numeri ! - Metteteli in un gotto.
fidate nella... sorte - e vincerete al lotto !
Note: (l) A San Floriano di V. P. ad esempio, le lesene triangolari della bella chiesa romanica, posano su due are sacrificali, capovolte, come si usava nei primitivi tempi, in segno di dispregio, pur utilizzando, i... sacrificati.
{2) Si allude alle divinità locali del così detto « Pago degli Arugnati" di origine etrusca o retica e che si chiamavano Udisna {la romana Cibele) a cui seguivano: Cuslano (La Fede), Ilamma Gale e Symma Gale (La Salute e la Scienza). La parola A-rus-nath significa: dimora di un popolo saggio.
(3) Nelle località più remote della valle infatti, sulle strade pubbliche, i cordoni della vite, carichi di grappoli, attraversano la strada all'altezza di due uomini.
(4) Piccola frazione pittoresca, con chiesetta antica, della quale fa parte la contrada "Sorte" - a circa 300 metri sul m.
(5) Sono pupazzi scolpiti in pietra sonora di Caffi, sopra Cavaion, bellamente espressi e che fra tutti formano un concerto di simpatica comicità, con maestro, cantanti, suonatori etc.
(6) Il già summentovato, generale Aracesky, che piantando le barbatelle di Tokai, il celebre vino ungherese, lungo la cedraia disfatta, dicono le abbia anche nutrite con La loro terra nativa.
VOCI FRA LE PIETRE DI VERONA ROMANA
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" del luio 1930
A mirar dall'alto della Torre civica dei Lamberti, le maraviglie panoramiche, che ci offrono intorno, l'occhio, già avvinto dal nastro atesino che svolazza nel seno della città, si attarda a contemplare fremente il colosso de l'"Arena".
Sul davanti de la scena
coi so cògoli e i so ani,
la scudela de l'Arena
gloria e spasso dei Romani,
baite in alto la gran ala
su i palassi de la Bra,
fin che i Cani de la Scala,
sbaia drento la çita!
E l'"Arena" sembra da lassù, un rotondo cratère, dal fondo del quale erompano invisibili, tutte le ire, gli entusiasmi, le passioni, gli applausi di milioni e milioni di spettatori, che le diverse epoche e costumi, ogni tanto disponevano in pittoresco disordine su per le gradinate, come nelle vetrine dei grandi musei, si opera coi cimeli delle passate civiltà e degli Evi turriti. Avevo conosciuto Vasa Prihoda, la prima volta, che capitò a Verona, assieme al suo benemerito araldo tutelare Arnaldo Fraccaroli. Egli ce lo presentò alla solita caratteristica trattoria del Valle, nella mite piazzetta di Santa Maria in Solaro, sotto la ombrosa pergola; ed il virtuoso violinista, riconoscente, ci invitò per la sera ad ascoltarlo al concerto in Arena. Una serata in Arena, con Vasa Prihoda, senza apparati scenici, sotto un fascio di luce lunare, esente da tasse comunali e governative, doveva ripromettersi deliziosa. E schivo come sono della folla che ti si pigia addosso per ridurti ai minimi termini, feci come i gatti e gli alberi del fico, che cercano le vette più ariose e mi allogai sull'ultimo gradino. Tutti sanno, che da un mezzo secolo a questa parte i preludi agli spettacoli dell'Arena, non hanno niente a che fare con quelli de l'orchestra. Il popolo nostrano di spettatori, si propone tutto un programma a parte, che deve svolgersi inesorabilmente. Così pure tutti i romori esterni ed interni percepiti dal mio osservatorio, hanno una rispondenza perfetta con la tromba dell'Arena sonora ed obbediente, come una cassa armonica. Da una delle due contigue stazioni, un fischio di locomotiva lacera l'aria. Pare un segnale e subito migliaia di fazzoletti si agitano festosi e convulsi. Sembra che abbia sciamato tutta la farfalleria di uno stabilimento bacologico. Sintomi di luminaria! Si ode distintamente la tiratina della scatola e lo sfregamento dei cerini. Tra un minuto l'Arena sarà una Via Lattea!... Vasa Prihoda, si affaccia alla balaustrata del podio. Scrosciano gli applausi... Noci, noci, noci, che saltellano giù per la gradinata. Ecco il silenzio assoluto, ma qualche ritardatario lo incrina... Si scatena la Nemesi:
Voci: Eh, lazaron!. .. Eh, porsel!... Andè in montagna!... Andè ai Scalsi !
Tutti si mettono a ridere... Poi, balza fuori dal magico arcnet1to una Pastorale patetica e tutti si mettono a piangere... Finito 1l primo intermezzo, ricominciano a saltellare le noci e tutti si mettono a bere o rosicchiare qualche cosa.
-Aranciata in ghiaccio, gasose, birra!... Gelati!... Caramelle! Qua e là, s'accendono gruppetti di lumini vagabondi... Par gente, che vada in cerca di lumache, dopo la pioggia. Ritace il violino e gli applausi espressi dai battimani giallo rosei, sul fondo umano, io li vedo come
tante spatole di anatrotti pascenti, alle prese col becchime.
-Gelati, aranciate, gasose, birra!
Si riaprono le sca1tole dei cerini e ricompaiono le fiammelle. Si accendono delle piccole brigatelle vaganti come fuochi fatui. Quando è la volta del diabolico Trillo di Paganini, la folla intima il silenzio assoluto. Ultima percezione di suono è uno scuoter di monete agitate nella profonda tasca del grembiule bianco di un caramellaio, che sta pescando il resto di un franco. Ah, davanti a certa musica bisognerebbe trovarsi dentro l'Arena di una volta, quand'era fuori mura, nel bel mezzo di un prato e tutti gli spettatori calzassero pantofole di panno... Poichè proprio nel Trillo del Diavolo ogni rumore vuol metterei la sua coda. E il Diavolo salta fuori dalla s-catola magica dello strumento e vi si rintana ogni qual tratto improvviso ed insolito rumore lo disgusta, perohè il Diavolo è un buontempone raffinato, tanto è vero, che tenta le più belle e seducenti creature che si votano a lui. È l'orologio dei Nogarola, ai Portoni della Bra batte le ore. La torre dei Lamberti, da Piazza Erbe, risponde... Nell'intervallo, un treno marcia rombando sul Ponte della Ferrovia. Poi la campana dei Nogarola torna alla carica e quella dei Lamlberti, ha per ultima la parola... lntanto il violino del Diavolo, contorcesi e fischia. Verso la fine del concerto, molta gente lascia prudentemente il suo posto e si affretta verso, l'uscita. Gira al largo, mantenendosi in alto, dove c'è meno chiaro, in cerca di un "Vomitorio", di un buco provvidenziale, onde nascondere la propria diserzione ed evitare i complimenti. Si cammina adagio, tra la penombra e il buio, fra un silenzio di epoche. Ogni passo, ogni salto che si muove, è un secolo che si scavalca, che si calpesta... Sembra di procedere verso il Giudizio Universale... E del... giudizio, ce ne vuole per non rompersi il collo!
PASQUA MONTEBALDINA
Da l'articolo de la rivista "Il Garda" de marso e april 1928
GIOVEDI' E VENERDI' SANTO
I° MESSAGGI
Da un campanil, che ingana
la fede de la ciesa,
'na birba de campana
la bate de sorpresa,
un fìoreto zentil...
Si che, a l'aria, m' à parso
de sentirghe un messagio
a le Marie del Magio,
ai ventesei de Marso,
al gaudio de l'Aprii!
(Da i "Sbusaneve " ).
Quella mattina, le rondinelle volavano basso, torneando a raso il suolo, sotto un baldacchino di nuvole battute a fiocco di neve e ancor novelle alle burrasche della stagione. Ma qualche cosa di insolito fluttuava per l'aria. Infatti, da lì a non molto un rombo di tuono in sordina scosse, qua e là, pesanti goccioloni di piova tepida sui davanzali fioriti; così che le fanciulle, appena fatte donne, che vi si erano sporte a curiosare cosa c'era di nuovo giù nelle vie della vita, si affrettarono a tirar indietro e fiori e seni nascenti, per quella primizia di temporale. La mia stanzetta solitaria, tagliata da una corsia di raggio di sole, che ad altro non giova, che a farmi scorgere quanta polvere vi s'agiti irrequieta, freme sotto il cumulo di codesti avvertimenti di rito primaverile ed il fidato Canzoniere si affretta ad aprirsi, come il coperchio di una scatola, alla paginetta designata:
Gh' è ne l 'aria del vicolo,
come una polvarina,
che baia la manfrina
su e zò par l' introl...
E gh' è drento la porpora
e gh' è drento l'argento
e la zuga col vento,
tra le spere de sol...
Ma bussa la provvida vicina con la scodella del decotto, primaverile anche lui. - Ecco un'altra cura che incomincia - esclamai con aria socratica, bevendo quella specie di cicuta. Scuotendo la testa mi sentii ballare il cervello, come balla il tuorlo di un uovo non troppo fresco. E guardando verso il Monte Baldo, mormorai:
- Caro mio, quest'anno ti saranno più gradite quelle tue arie: " di Montebaldo i purgativi umori" come canta Lorenzo Attinuzzi nel suo umoristico "Fagotto del Monte Baldo".
E feci fagotto anch'io.
PAESAGGIO E FIGURINE
È un pomeriggio di Giovedì Santo a Caprino, terra popolosa e tipicamente alpestre dell'Alto Veronese, primogenita del Baldo, dal quale tutti convengono qui, montanari e pastori, con quanto occorre a render grasso e fiorente il mercato. Il paese appare in veste gaia, un po' oppresso ed incupito dal fondo scuro dell'immanente Monte Creta, sotto il quale vi si raccoglie come a malincuore fra le due contrade ancelle di Gaon e Rubiana. Presso il tramonto, il pastorizio Monte Pastello, al di là della Val d'Adige, chetamente allumato da un sole afflitto per la passione del nostro Signore, si palleggiava un gran disco di luna color argento ossidato e gli ultimi bagliori della Rocca di Garda davano vivi ritocchi di colore al "Sengio Rosso" sopra Vilmezzano. Il "Sengio Rosso" di composizione piritica è la meridiana della borgata e dal cono della sua ombra "i segna l'ora". All'albergo della " Gilda", sulla Via Maggiore, le "tate" Cristina e Santina, giovani e sveglie quanto mai, stanno accudendo con lena alla pulizia pasquale, accompagnate spiritualmente da un menestrello, che mirandole così Mirandoline, canta:
Bei museti de putele,
drite in piè su le carèghe,
con la strusa in costo ai veri
per amor de pulissia ...
Bon udor de brassadèle,
che vien via da le botèghe;
benedete ste putèle,
che le pianse in alegria !...
Non sai - dice "tata" Cristina, verniciando con il pennello della tinta in mano i contro schienali delle sedie e le giacche degli avventori - non sai che è morto il nostro Signore?
E "tata" Santina, che stava lustrando i cristalli con la polvere tripolina, dall'interno di una vetrina della pasticceria:
- Oh, perbacco! Quanta pena che ti dai, sorella! Cissà se l'è anca vera? Se fosse morta mi, vèdito, el sarìa vera... - Silensio, silensio! - ammonisce dalla batteria della cucina la "Siora Gilda", che sta cuocendo gli spaghetti per la mensa dei signori ufficiali. - Dov'elo el giudissio?
Scena II - Un ingegnere e dette.
ING. (battendomi sulla spalla). - Sito vegnudo anca ti a ciapar l'aria de la Crosèta? (L'aria di questo piccolo passo del Monte Creta, sopra Caprino, ha la virtù di guarire gli ospiti tristi da qualunque attacco di ipocondria). Io. - No. De ste arie ghe ne respiremo anca a Verona, sensa andar dai farmacisti... Son vegnudo a passar Pasqua sul Monte Baldo...
Scena III - Barbiere e detti.
BARBIERE (affacciandosi sulla porta della sua bottega). - Natale coi tuoi e Pasqua dove vuoi.
Io. - Bravo! Ben detto. Alora el me fassa la barba! E dentro. Il barbiere, un buon vecchio rispettoso, mi drappeggia in bianco come un senatore romano e dopo, cacciandomi sotto la gola un elmo autentico di Mambrino, in ottone purissimo e lucente, che par voglia decollarmi come un Giovanni evangelista qualunque, mi chiede amorevolmente: La saonada (la insaponatura), signor, la comandelo fata co le mane o col penel? Non seppi rispondere.
SERA DI GIOVEDÌ SANTO
Napoleone I, dopo la battaglia di Rivoli, ha dormito in Cà del Bessù, presso Lubiara, una frazione distesa sotto il forte San Marco, presso il ciglione della Val d'Adige. Verso Lubiara (che si distingue per le luminarie della Settimana Santa) si profilavano nella sera chiara, visti dal Ponte, i Cimi, serie di collinette moreniche che separano l'altipiano di Caprino da
quello di Rivoli; poi, più in su i Masi, una breve catena di contrafforti del Baldo, che limitano la Val d'Adige a destra. La posizione di Caprino è segnata così: a Nord il Monte Baldo, ad Est i Masi, ad Ovest le colline di Costermano e il Monte Moscal, a Sud i Cimi.
Nel tornare in paese, improvvisamente un frastuono di cassette e di assi battute e tormentate, un crepitar stridente di raganelle parte dalla chiesetta dell'Oratorio. Sembra che uno stagno intiero di rospi e di rane sia stato passato allo staccio e rovesciato in piazza. Sono le "campanèle" e le "ràcole". Legate per rito le campane (che nei primi secoli della cristianità erano di legno anch'esse), i ragazzi del paese si sfogano ragazzi del paese si sfogano con tali batterelle di legno ben stagionato. Intanto la processione si snoda dalla porticina fiammaute. dell' Oratorio. Prima s'avanza il Cristo abbrunato, fra quattro confratelli rossi, poi due lunghissime file di madri cristiane, tutte in nero, col velo ed il bianco cero in mano inclinato verso le botteghe. Da una di queste squilla una voce:
- Mama, dame la veleta!
E, tutta frettolosa, una bella fanciulla vestita di bianco si caccia in mezzo a quel mortorio.
Seguono i confratelli col Santissimo, con lanterne e stendardi e le tonache bianco e rosse. Stasera, che è Giovedì Santo, sono in giro le candele grandi. Ma domani sera, tutte le botteghe e le finestre si adornano in fantasia di moccoletti. Gli alpini della caserma ed i ragazzi adoperano un sistema curioso di illuminazione quanto economico. - "Na sgussa de ovo o de bogon" (un guscio di uovo o di lumaca) e una goccia d'olio.
La processione sale dolcemente verso il fondo di Via Maggiore, che è capeggiata dalla Villa Carlotti, scura scura, poi fa un voltafaccia brusco. Dice una devota melanconicamente: 'Na volta ghe tocava far el giro del brol de l'arsiprete. Se scurta tuta a sto mondo!
OMBRE DEL PASSATO - IL PLATANO MERAVIGLIOSO
La poetica villa dei Marchesi Carlotti, stamane ha la ciera pallida e sbarrati gli occhi neri e tondi delle vetrate. Di certo, l'antico spirito della casa ha dormito male stanotte nella bizzarra sala dei Sogni. Il giardino della villa è adorno di piante d'alto fusto, tra le quali folleggiano alcune statue bronzine scolpite nella pietra del "Moscal" in gesti così poco composti ed inspirati, da crederle Baccanti calate giù dal Monte Creta, l'unico sfondo arido e deserto della villa malinconiosa. L'entrata del palagio è limitata da una solida cancellata
in ferro battuto, da una fontana col Leone di S. Marco murato a metà ed una torretta insignificante, che fa angolo con la Via Caferara, dove abita per solito il Re creato a vita da quella che è la più povera contrada del paese. Sotto l'atrio della villa sono pitturati dei putti grassi ed imbellettati per tutta la pelle, i quali sostengono dei ritratti di antichi e ragguardevoli ospiti di passaggio: Violante Beatrice di Baviera (14 dicembre 1688); Arciduchessa Isabella Clara, sposa del Duca di Mantova (5 novembre 1649); Margherita Teresa, moglie dell'Imperatore Leopoldo (24 ottobre 1668); Giovanni Gastone, Granduca di Toscana (17 maggio 1692), ed altri ancora.
Tuti personagi che non è più! - commenta il castaldo, che mi guida, con voce sepolcrale. - No gh'è che el nostro Signor, che se el vol el more ancò e el rissussita passadoman, che l'è Pasqua! Fuori della villa, troviamo un ragazzotto di quelli svelti ma obbedienti che presidiava una vettura piuttosto rudimentale ed un cavallo, il quale era venuto a prenderei apposta da Brentino per condurci giù nella Val d'Adige e risalire per il Baldo dalla parte del Santuario della Madonna della Corona. Domando al ragazzo:
- Cosa gheto nome ?
- Mi son Faldin e questo l'è el caval del " Guardia". Si consiglia di non viaggiare in Venerdì. Figurarsi in Venerdì Santo. C'è un presagio di mala Pasqua. Però non mancano gli scongiuri: Faldino ha il berretto da lavoro con un bel ramoscello d'ulivo puntato in parte della falda; ha gli occhi vivi e svegli e se la intende benissimo col cavallo del "Guardia" al punto di rivolgergli qualche parola umanitaria da inserire nel prontuario dialettico della Società Protettrice degli animali. C'è un buon sapore di Pasqua in giro. Trottano, davanti e dietro a noi, carrette cariche di gabbie di vimini, i "corghi" (corbi, corbelli) dove belano teneramente i capretti del Sacrificio Pasquale. Tra questa festività d'ambiente, tra un allegro stormire di arboscelli ed un sussurrare di siepi novelline, giungemmo alla Contrada del Platano: un gruppo di poche case e ville, all'ombra di alberi fronzuti, con un'osteria all'insegna dell'"Ombra" (purchè il cavallo non prenda ombra anche lui) ed eccoci sulle rive del Tasso. Nel torrente corre un piccolo filone d'acqua viva e chiaccherina. La carrozzella lo passa a guado e le ruote vi guazzano dentro con una evidente voluttà di monelli scalzi alla prima pioggia d'aprile. Ed ecco il grande, l'enorme Platano, la meraviglia dei dintorni. Davanti a questo secolare monumento naturale si prova di primo acchito un senso di sottile sgomento, poichè il mostro ha nei contorcimenti del tronco e dei rami certe bugne che sembrano monconi di giganti, e certe forme ed atteggiamenti che hanno della umana mostruosità di Ciclopi in lotta con un'epoca.
- El par che el g'abia i dolori!
- esclama il mio compagno di viaggio Zàcari (Zaccaria) ch'era venuto su apposta assieme a Faldino da Brentino d'Adige; un amico lungo lungo e buono come un bastone di pan francese. Il suo carattere ingenuo e spavaldo nel tempo stesso lo somigliavano ad un assieme tra il Renzo Tramaglino e il Conte Attilio fuggiti dalle pagine dei "Promessi Sposi" per far la pace. Proseguendo la nostra impresa si supera l'erta "Pontara degli Olivi", da dove si ammira, magnifica nel suo orrido cupo e segreto, la Chiusa di Ceraino. Appare profondissima e l'Adige non si vede. Ora corriamo fra i Masi e i Cimi quasi al livello del forte di Rivoli.
NELLA VAL D'ADIGE
All' antica osteria delle "Zuane", tappa di viu bianco. Compariscono sulla porta due belle
ragazze accanto a due sempreverdi; e i due sempreverdi posano su grossi blocchi di marmo rosso, sagomati a spicchio e non sono altro che importanti frammenti della famosa guglia di Napoleone, commemorante la Vittoria di Rivoli e che non tarderemo a sorpassare. Di questa guglia, attorno la quale stiamo girando, non restano che alcune pietre del basamento e pochi cipressi magri e spaventati. Ma il campo di battaglia sembra ancora palpitare sotto la serie delle collinette strategiche e dei cumuli foggiati a piazzuole da cannoni. Zàcari mi ricorda:
Qua Napoleon l'à vinto 'na batalia,
ma, de note, se vede a luna bassa
pronti a ciamarse e dimandarse scusa,
soldadi morti in meso a la mitralia,
che el vento eterno di sti loghi spassa
par Cerain portandoli a la Ciusa!
Un rumor della ferraglia di un ponte levatoio contiguo al forte di sbarramento ci avverte che siamo vicini a Incanal, ridente paesello incollato al monte con indovinata disposizione conventuale e pacifica. Per un'ora buona di strada, sulla riva sinistra dell'Adige, a ritroso del fiume, trotterelliamo così con Faldino ed il suo ramo d'ulivo, a cassetta:
...La val se destende,
longa e scura su l'Adese che core
e de quel passo che l'ombrìa se arende
un sol tardivo va a sugar le fiore.
No gh' è palassi parchè el sior no spende
ma pore case e musi de pastore
e boschi e sassi e sengie che no rende
e in meso ai boschi una canson che more...
Silenzio assoluto, nostalgico. Anche i campaniletti della vallata tengono legate le campane del Venerdì Santo. Domani sarà ridonata loro la favella. E allora, forza:
...campanileti che no g' à pensieri,
picoli, svelti, pronti a la sonada
come una compagnia di bersalieri ;
sia che Pasqua o Nadal ve meta in mente
che Dio l'è nato drento in te una tana
e pò l'è morto par la pora gente... !
Sulla riva opposta, ogni tanto, trapassa lento o rapido un treno, mentre sfilano per la via croci e capitelli e cavalli al lavoro, con delle ragazzine alla testa dell'aratro ed il pungolo ritto in pugno. Sfilano il "Cristo", la "Corvara" dove spira un'aria gelida e si vedono gli anelli di ferro di un'antica dogana. Come coronameno del cammino, una grande croce di pietra grigia con su scolpita una mano e una data (1852) e sotto: "E questa croce - e questa mano addita - il corso breve di nostra vita - al cimitero... ". Ma noi stimammo bene di tirar diritto e Faldino chioccando la frusta e un pochino anche la 1ingua per via dell'appetito, fa il suo solenne ingresso in Brentino.
Fintanto che Zàcari va a sollecitare la Zia Catina per la colazione, mi permetto di presentare come un cantastorie, con una strofetta, Il paese che ci ospita:
Quel l'è Brentin che vive de arie sane,
drento a un nio de boscheti che lo veste
coi pitari che canta da le feste
e i pra che beve da le so fontane...
E in cima a un crepo, che te spaca el monte
per dar passo ai gran comodi de un progno
che move rude e fa cantar molini,
su da una scala de mile scalini
scavà nel vivo e che sta su par sogno,
una Madona fa le grassie pronte!
È la celebre e miracolosa Madonna della Corona, il cui Santuario, appiccicato lassù come una cartòlina illustrata, è popolarissimo in tutta la Val d'Adige in uno con quello non meno visitato della Madonna di Pinè sopra Trento. Ma dalla cupola lustra, argentea del campanile di Brentino scocca mezzodì. Zia Catina porta in tavola un bel piatto di tagliatelle all'uovo condite burro e formaggio e sentenzia: Prediche curte e paparele longhe! Quanta patriarcalità!
SERA DI VENERDÌ SANTO
La sera del Venerdì Santo a Brentino veniva, negli anni passati, solennizzata con i così detti "Capitei ", specie di Stazioni da Via Crucis. Eccone uno: Una donna vera, che significava l'Addolorata, reggeva abbandonato sulle ginocchia il Divino figliuolo in camicia e mutande. Lì vicino c'era il "Cursore" postale col fucile in mano che vegliava il sepolcro. Commenta la Zia "Catina".
- Ah, se l'avesse visto che facie! Ridicoli ma bei! E ridea anca el prete vecio, che l'è morto.
Ma quel novo el l'à fati proibir i "capitei". Quella sera fu imbastito su un capitello "sui generis", ma non troppo originale. Un gran Cristo nero, disteso su di un lenzuolo, sotto un portichetto rustico foderato di altre lenzuola e frasche in abbondanza. Due bambine vive ed inghirlandate in ginocchio ai piedi del Crocifisso volevano essere le Marie. Sul limitare un minuscolo abete, tutto acceso di candeline, pareva l'albero di Natale venuto a vedere sul Golgota la sorte tragica del nato di Betlemme. - No sta miga ridar, setu ... - minaccia dolcemente una mamma alla piccola Maria Maddalena.
- Eh, se la guarda el Signor, no la ride no
-risponde un'altra dando una ravviatina ai biondi riccioli della genuflessa con le manine in cortesia. Dentro in chiesa, contrariamente al proverbio della Zia Catina, la predica si fa lunga. I ragazzi sul sagrato, impazientiti, lanciano qualche infernale allarme di "campanèla di legno" .
- Cosa feo lì? - urla il campanaro.
- Poco de bon, sicuro - mugola un vecchio confratello.
- Ai matutini se pol sonar! - obbiettano i ragazzi; e giù di lena per affrettare la predica.
La luna, che batte in faccia alla chiesa, è proprio piena come un uovo pasquale. Si spalanca la porta ed una processione scintillante di lumi esce di fretta e sale a rompicollo la strada dei "Santi". Grande ammirazione del capitello. Alla fontana i monelli e le ragazze. Si spruzzano di nascosto, per secolare tradizione. E' dalla fontana (da dove parte la salita al Santuario) che si vedono i fuochi accesi a Peri di là dell'Adige, a Fosse di Sant'Anna, alla Corona. Codesti fuochi durano per tutto il tempo della processione lungo il paese illuminato a giorno e variamente adorno di coperte da notte. Una volta, chi dava per il primo il segnale della processione di quei di Brentino erano i fedeli degli Spiazzi, che scendevano le scalette superiori del Santuario della Corona; anzi ad un certo punto le processioni dovevano incontrarsi. Ottant'anni or sono - è sempre la "Zia Catina" che racconta - quelli di Brentino dopo aver aspettato quelli degli Spiazzi, che non si decidevano a discendere anche dopo aver dato il segnale, ed era sullo scoccar della mezzanotte, mandarono su uno a chiedere il ritardo. Oh, niente! Un masso del monte soprastante il Santuario era precipitato sulla casa del cappellano; il poveretto con la sua domestica rimasero morti; si salvò solo un vecchio gallo, che per otto giorni non cessò mai di cantare sotto il vuoto delle macerie e finì con il morire anche lui con la cresta pallida pallida e dissanguata, per ricantare il suo chirichichì nel dì del giudizio".
SABATO SANTO E FESTA DI PASQUA
IL LIBRO DEI "MISTERI"
Stamane, con la luminaria processionale della sera innanzi, che mi ballava davanti agli occhi e nelle orecchie il ronzio dei "misteri" salmodiati dalle devote, scongiurai le mie gambe a far buona figura nell'intraprendere la scalata al Santuario della "Madonna della Corona" un fioretto di omaggio, che m'ero imposto per onorare la mattinata del Sabato Santo, fino a che tacevano ancora le campane ed il divino ressurreturo stava tentando umanamente, la immane copertura del sepolcro...
E m'era compagno spirituale un libercolo sudicio e rappezzato, che la zia Catina m'aveva affidato a malincuore e con mille raccomandazioni di non perderlo, che per sciupato lo era abbastanza: il libro dei "Misteri!" Sono i "Misteri della Passione del nostro Signor Gesù Cristo" da cantarsi dagli "Angeli" la settimana Santa in processione. Eccone un primo saggio:
(L'Angelo annuncia):
"Popule meus! - quì siete adunati d'avanti questo Santo bel Mistero in ginocchion vi prego che vi state, che io vi reciterò con desiderio, dei Misteri che furno adoperati nella Passion per nostro refrigerio, e per pagar il nostro gran peccato...
Così nostro Signor fu passionato!
Così nostro Signor fu passionato!
Siccome io leggevo ad alta voce, senza guardarmi d'attorno, m'accorsi che Augusto, il montanaretto semplice, ma robusto, che doveva servirmi da guida, con la valigia, era caduto in ginocchio. Che mi abbia preso per un missionario? Codesto Santuario, adunque, il più audace e suggestivo della Val d'Adige, pare la traduzione reale di un sogno di bimbo, che scopra delle casette bianche, una chiesetta bianca, un campanile d'oro appiccicato alla parete di un abisso. E' un gruppo di grosse agate incastonato nei fianchi rocciosi del Baldo, sul versante Atesino! Alla Corona, ci si va per scale e sentieri fatti a scaglioni; dopo, ancora scale uso sentieri e sentieri composti a gradinata larga; scale, con e senza ringhiera, con e senza ombra, con e senza pericolo. In alto, il massiccio rude della roccia e le fantastiche casette, che compaiono e scompaiono come tentassero i loro neofìti in traccia di una grazia ed una ospitalità; in basso, sulla strada il "vaio" delle "Pissote" (cascatelle) che si sprofonda sempre più col suo rivolo canterino, che dalla Ferrara di M. B. fra crepacci e capriole (da non confondersi con le femine del capriolo) salta e precipita e si adagia fra gli stornelli di una musica d'acque sonanti, i!.i molini irrequieti di passeri solitarì. E teorie di asinelli si vedevan filare verso i molini, tanto che questo ultimo tratto si chiamava per caratterizzarlo, la valle de i "mussi" (ciuchini). Il sole, che da un certo tempo s'era levato, mi faceva segno ai suoi raggi più nobili. Non erano solo le roselline di siepe che spicciassero fuori le gocciole di rugiada, come la distillassero in casa. La mia fronte era tutta una perla di sudore. Arriviamo così ad un breve ripiano detto la "Sponsaora" una specie di prima tappa di riposo da pellegrini, sotto una rupe scavata a cappa di camino. Saliva dalla Valle dell'Adige una freschezza di acqua corrente, di boschi appena svegli. Ed ecco il mio libercolo, salta fuori da tasca con un altro mistero, quello del "Calice":
"Da poi che Gesù Cristo ebbe lavato
Agli Apostoli i piedi con sue mani
Inverso all'Orto Lui se ne fu andato
Menando Pietro, Giacomo e Giovanni ...
Poi disse a loro che avessero orato
E Gesù verso il ciel levò le mani
Dicendo : Padre mio, se t'è in piacere
Leva sto calice a me, fa il tuo volere".
Riprendiamo la salita affaticante. La prodigiosa serie di rampe in pietra, e di scalette, che si adattano, s'insinuano fra le piante, che si internano nel macigno, che spariscono e riappaiono, ora civettuole,ora paurose, sempre eterne e assillanti, minaccia di non finir più... Mi sovviene il Calvario del nostro Signore ed i suoi tormenti: Augusto, fermati, senti un altro mistero! Le "discipline":
"Ecco le Discipline; o che tormento
Diedero al buon Signore alla Colonna
E lui di Sangue fece spargimento
Essendogli impiagata la persona.
E per numero sei milla e seicento
Sessantasei, per la scrittura buona
Le battiture ch'ebbe il Fiol di Dio
Sol per Salvarci da l'Inferno rio ... "
Il ragazzo commosso aveva lasciato cadere la valigia.
- E quando arriveremo lassù? domando ad Augusto, con la sicurezza ch'egli m'avrebbe consolato con uno di quei famosi "quarti d'ora" di montanari che finiscono per diventare un secolo (il secolo di Augusto)!
Mah! - risponde il ragazzo - ghe son stà una volta quando era picolo. Ma ghe vorà un quarto d'ora, sicuro.
- Già, esclamai più che soddisfatto della mia prevenzione; allora ascolta un altro mistero:
Il "volto" :
"Ecovi quì l'imagine perfetta
Che Veronica Santa non è vano
Ebbe asciugar la faccia benedetta
Del nostro Salvator Gesù Sovrano...
Essendo stanco e afflitto con gran fretta
Che li sudori lì cascava al piano
Sempre quì dal suo volto non cessava
Per la gran Croce che Gesù portava...
Per la gran Croce che Gesù portava !!
Ecco un mistero, che lo soffro anch'io, pensai tra me e me, asciugandomi il volto accaldato, col fazzoletto. Ma eccoti ad una svolta brusca, fuori da un folto di fogliame, la stanchezza sparisce come per incanto davanti al miracolo di quelle casette lassù, che sembra di toccarle, di sognarle; esse vivono anzi nel mio sogno; questi giocattoli di architettura primitiva e ingenua, ma che rappresentano una forza, la somma di immani fatiche da schiavi e sono monumenti di fede, fortilizi di religione! A raffinare la nostra sete, recito ad Augusto un altro mistero, per completare il fioretto. La "Spongia":
"Eco la spongia che da ber fu dato
Al nostro buon Gesù in sulla Croce
Aceto e fiele assieme mescolato
Pensa che gran dolor che pena atroce
Per "Consumatum est" ebbe parlato
E li Giudei rispose ad alta voce :
Chi vuol la nostra legge rovinare
Conviene in croce la vita lasciare
Conviene in croce la vita lasciàre! ... "
Il sole era quasi a piombo sul vallone immersi in un miscuglio di bagliori di foglie bagnate e di ombre; sotto queste ombre i capineri salmeggiavano in solitudine, come relegati a canonicato. Nel cielo volteggiavano i falchi; nel fondo il torrente rumoreggiava a sua posta... A Brentino avevano slegato le campane... La chiesetta non dava segno di vita. Nè un prete, nè un pellegrino. In quel punto il campanile della Corona, dalla cupola d'oro, agitò i segnali del mezzodì. Ma nessuno se ne avvide. Suonava l'ora del desinare, per i capineri, per i falchi, per i poeti!
Agli "Spiazzi" mi congedo da Augusto, che infila di corsa la gradinata, in discesa, con una furia da rotolar giù come un riccio per il fatto cammino ed entro sudato e stanco in un noto albergo, dove c'è bottega di generi alimentari, macelleria e forno, sarto e barbiere, sale e tabacchi... Appunto, il barbiere sta facendo il sarto nel primo locale d'ingresso. C'è qualcuno, che aspetta domani, per Pasqua, il bel vestito nuovo... Nella bottega, campeggiano appesi ai lati del banco due "bastoni" foggiati ad àncora con tre o quattro branchie dove, infilate alla rinfusa,trionfano ancora calde ed odorose di forno le "brassadele" pasquali, le ciambelle scottate. La padrona dall'albergo è donna gioviale e giunonica, che mi viene incontro col matterello da tirar la pasta de "le paparele" (tagliatelle) in mano, e sei bimbi accollati alle gonnelle come si vede nelle Madonnine di Stefano da Zevio. Altri sei figlioli le son poco distanti, se non sono via soldati. Osservandomi tutto sudato, la buona albergatrice fa:
- El paron l'è zò al marcà de Cavrin, ma el se comoda qua a l fogolar, che ghe impisso un bel fogo. Infatti, la brezza degli Spiazzi, gelandomi tutto quel bagnato d'attorno m'aveva messo in disagio. Una bella fiammata di fascina, mi rimette in poco d'ora asciutto come un'esca, così che tutto confortato e compreso da quel senso di beatitudine che danno i focolari di montagna, non tardai ad attaccare discorso con la trattora. Essa, alla volta sua, s'era attaccata al matterello delle "paparele" che frullava svelto ed energico sulla tenera pasta d'uovo. Dei sei marmocch i, una bimba soltanto era restata avvinta con una manina al grembiale della massaia, sì ch e appena sfiorava l'orlo della tavola con la testa bionda.
La mamma. - Sito sta a procession ieri sera, putina?
La bambina. - Sì ma ma. E' morto el Signor!
Ma i altri siori mama, proprio quei grandi, mòreli anca lori?
La mamma. - Altro chè, se i more, anca lori...
La bambina. - E quei altri siori più picoli, mòreli anca quei, mama?
La mamma. -Anca quei more; anca i poareti i more! ...
La bambina. - Alora, mai quante case resta ude se moremo tuti (vuote) mama?
In quella, dalla stalla vicina parte un gemito sommesso, strozzato e toccante come il suono di una trombetta da sagra...
Si spalanca la porta ed entra traballante sulle gambine un' altra bimba di due anni che balbetta:
Mama, ciangue! (sangue).
La mamma. - Cosa ?
La bambina. - Ciangue ... Ciangue ! ...
La segue un fratellino con una ciotola colma di sangue vivo, fumante...
La mamma. - Ah, birbante de Bepi, che l'à copà la cavreta (capretta)!
Ecco entrare un uomo fatto, un po' male in gambe, che non era nè un montanaro benestante, nè un villeggiante. Era una specie di esigliato volontario, capitato su per sue particolari ragioni e basta. L'uomo sedette in un angolo del focolare e cominciò a dir male della vita e del paesaggio d'intorno. Forse la testa lo tra vagliava, perchè s'era lasciato troppo crescer la barba! Il sartore, ch'era entrato in cucina per riempire di carboni accesi il ferro da stirare, lo consolò con queste parole:
-L'è un momento... El speta, che sopressa sto par de braghe e dopo ghe taio la barba... Ma quando l'uomo esigliato se ne partì sano e salvo dal rasoio del sartore e la sua faccia era lucida e brunita come un ferro da stirare, l'uomo esigliato alla Ferrara di Montebaldo, verso la quale procedevamo in compagnia, era ancora di pessimo umore.
SERA DI VIGILIA PASQUALE
Da prima, quell'uomo, al quale m'ero accompagnato, ricordò la Verona di quindici anni addietro, come da tale epoca in poi non l'avesse più vista. Ne parlava con tanta amarezza di rimembranza, che guai a non trovarsi ogni tanto, a tu per tu, con qualche polla d'acqua dolce! Passammo così i "Pereti" le "Fraine". Ai "Casteleti" si contempla, come nei "Misteri", il paesaggio superbo della Ferrara di M. B. ma tanto poco superbo che somiglia ad un presepio.
- Ma non vede, dico io, puntandomi su di un piede e con le braccia conserte, all'uomo esigliato
dentro sè stesso, non vede tutte queste meraviglie di contradelle sparse su per il Dossone delle praterie, che ascendono il Monte Baldo come gruppi di pecorelle? E tenevo gli occhi socchiusi e lo guardavo feroce come fa il gatto con un gardellino in gabbia.
- Sì, el Municipio l'è belo, la ciesa l'è bela; ma San Michel l'è meio... San Michele, è un sobborgo dei più prossimi a Verona, il suo paese nativo.
- Quel l'è un paese vèdelo; qua no se incontra gnanca un can. Era un uomo che soffriva la nostalgia della pianura e ne sentiva l'odore della polvere, come un veterano di cento battaglie.
Alla Ferrara, il primo albergatore del sito, che mi conosceva, si fà incontro a noi tutto premuroso stropicciandosi adagio adagio le mani come le avesse appena unte con la glicerina, mi domandò a bruciapelo, guardandosi d'attorno:
- Alo visto pulito tute ste bele belesse che gh'è su la strada?
L'uomo esigliato di S.Michele allibì!
Sulla sera tornano i pastori dalla montagna, i boscaioli ed i reduci dal mercato. Dal molino laborioso e stillante di bar bagli spumosi, nel bel mezzo della conca dove c'è la fontana, salivano le montanarette, trascinandosi dietro le catene del fuoco, lucide come argento da risciacquare. Su per un sentiero che porta ai "Campedei" s'era avviata, cheta, cheta una carovana di bestiole reduci dal mercato anch'esse. C'era un cavallino con una sporta appesa al fianco che parea fosse andato in piazza a fare la spesa. Due maiali che pesavano un quintale l'uno, s'erano posti in mezzo un loro porcellino da latte, che ne pesava forse dieci e tenevano un tal modo lento di camminare che pareva fossero alla musica. Un bimbo che poteva pesare quanto il porcellino mi balbettò. - Ciao, "tato" - mentre lì vicino una capretta, messo fuori il muso da un vetro mancante di una stalletta buia, belava disperatamente. Pure il vecchio segretario della Ferrara, ch'era un'ottima pasta d'uomo, mi coglie quasi in flagrante anche lui con un formidabile:
Cosa fetu qua?
- Mah! rispondo, Misteri! Erano quelli della Passione, che mi frullavano ancora in testa e si agitavano in tasca. Son vegnù a far Pasqua! Ricordo di quest'uomo un episodio gentile. Quando si trattò di rimboschire la Ferrara dal 1900 in poi, con le prime feste degli alberi, egli, indicando un giovane abete, il suo prediletto perchè piantato da lui, esclamava:
- Mi morirò contento quel giorno che co sta pianta i me farà la cassa da morto!
Alla sera apprendo, dalla guardia forestale, che i "Misteri" sono da queste parti, scambiati per dialoghi e per cori dai "Casteleti" alle "Rive", dalle "Fraine" prime, alle seconde. Seguono dalla Domenica delle Palme fino al Venerdì Santo. La protagonista tiene un lumino in mano per leggere la carta e tutte le altre donne, quali inginocchiate quali sedute, compongono i cori e i ritornelli mentre ad una certa distanza i ragazzi accendono ed alimentano dei fuochi di gineprella... Il segretario mi da la buona notte porgendomi un fiore grazioso, una "sanicola" campione pregevole coi mughetti, i narcisi "el Balsamo" della meravigliosa flora del Baldo, monte sacro ai botanici.
"ALLELUIA! ALLELUIA!"
Stamane, chiotto, chiotto, sotto le coperte mi godevo il calduccio e le prime campane di Pasqua,
le uniche che suonassero a gaudio nella valle. Passava per il paese un brusio di donne che salivano alla chiesa a la prima messa. Il bosco era ancora dormiente ed una arietta fresca, traverso la finestrella semichiusa, soffiava dentro le tendine bianche di mussola, tenue gentile, come un velo da cresima. La "sanicola" del segretario odorava ancora nel bicchiere. Poi mi riaddormentai sognando capretti arrosto e uova pasquali rosse e violette e mi riscossi nuovamente al corno del capraio, il quale dopo aver ascoltato la messa e fatta colazione, s'avviava al pascolo in "Campedel". Da tutte le porte delle case uscivano le bestiole alle chiamata di colui, che non riconosceva Pasqua per le capre o voleva forse sottrarle allo spettacolo dei capretti sacrificati sulle mense Pasquali. Le capre procedevano a malincuore, grattandosi e strofinandosi al muro con certi bussi e scossoni che guai se le casette non fossero ben piantate. Dopo una piacevole giratina per i boschi nuovi con la guardia cortese ed una visita all'Orrido d elle "Pissote", ritorniamo in paese. Suona il segno dell'ultima messa. Il sagrato, in alto formicola di uomini e su per la scala ampia montanp lente le montanare col loro velo bianco. Io me la figuro quella scala la sera della processione del Venerdì Santo, tutta gremita di fiammelle vaganti e il paese in luminaria e i fuochi accesi alle "Fraine" prime e seconde, e su per le contrade della montagna e nelle malghe solitarie...
El vegna qua, - commenta la guardia, quasi seguisse la mia rievocazione notturna
-i putei, ià tirà su su sto albero, un "racolon" che el pesa un quintal. E i s'à messo a sonarlo, che rimbombava tuta la val... Il "Racolon", che si tira fuori nelle grandi occasioni, dal sottoscala del campanile, è composto di quattro martelli e due "ràcole" a manovella.
E' alto un metro e cinquanta. Come si vede non è nè un liuto nè una spinetta, ma piuttosto un istrumento diabolico a tutta prova.
Alleluia, Alleluia!... che le paparele se ingarbuia!
Dopo un modesto pranzetto all'albergo, con le tradizionali "paparele" e quattro costolettine di capretto, da solo a solo; dopo aver mirato ancora una volta il paesaggio fuori dal buco della ciambella Pasquale , una chiamata in Municipio!... Che vorrà il segretario? Forse qualche altro mistero? Il segretario sedeva gravemente in salotto con gli occhiali sul naso ed il giornale in mano fingendo di leggere; ed ogni qual tratto sbirciava verso l'uscio. Sul tavolo accanto a lui pompeggiava una gran focaccia, guardata a vista da quattro bottiglie venerabili; una di esse a mo' di alfiere, portava infisso il cavaturaccioli. In un angolo il medico, la guardia forestale e il cursore stavano ritti e rigidi come le figure del Santo Sepolcro... Ma quando ci trovammo tutti uniti e si cominciò a sillabare, un certo che di perplesso volteggiava nei nostri sguardi, poichè tanto la focaccia quanto le bottiglie, oltre che nella carta velina e nelle ragnatele, sembravano avvolte nel mistero...
- Ancò compisso cinquantacinque ani... Propio ancò! - disse finalmente il segretario burlone guardando teneramente sua moglie. - Evviva, evviva! - prorompemmo in coro. lo tirai in ballo la profezia del piccolo abete piantato dal segretario, ad una festa degli alberi, e da lui destinato a diventar l'ultimo armadio, per la sua salma, novello Nelson, il famoso ammiraglio inglese, che dopo la vittoria navale sui Francesi in Egitto, a dirla coi versi del Foscolo, nei "Sepolcri":
...tronca fè la trionfata nave del maggior pino e si scavò la bara! Di fronte a questo sublime parallelo i tappi saltarono all'aria, come i cenci dei poveretti e le bottiglie leggiadramente imbavagliate, s'inchinarono sui tappi (tappi e nappi vanno sempre d'accordo) la torta si divise in spicchi, in bocconi, in briciole e la conversazione ebbe dei momenti lirici da toccare le vette del Baldo... Sola in tanta baldoria, dritta e diserta su di un tavolino intarsiato, una pianticella graziosa se ne stava tutta mesta a languire con le fogliette stanche e i fiori lividi.
- Poverina, come è triste!- additai commosso.
- Ah! rispose pronta la signora Teresa: Questo l'è l' "Amor de la Santina" !
La Santina, era una bella ragazza a cui la famiglia del segretario aveva preso a voler bene, ma che faceva all'amore con un brigadiere delle guardie di finanza. Costui, un giorno, reduce da non so quale escursione, regalò alla Santina due preziose pianticelle della più rara flora del Baldo, che vennero allevate e coltivate con cura in due vasi distinti. La Santina ne regalò uno alla sua padrona. Ma le cose non seguirono molto bene per la povera figliuola, che fu abbandonata dal "moroso" e ne fece una malattia. Durante il corso del male, la piantina che era men forte della sua giardiniera, morì. Invece quella regalata alla padrona visse più vegeta, che mai, forse perchè non se ne intendeva di Finanza. E la moglie del segretario, battezzò questa sua figlioccia della Flora Montebaldina: l'"Amor de la Santina!". Come è gentile e commovente questo episodio! Tanto che la mattina dopo, a mò di congedo, mi sentii in dovere di buttar giù alla meglio, il seguente gramo sonetto:
"L'AMOR DE LA SANTINA"
La Ferara l'è bela e mi la guardo
come la se presenta ai "Casteleti"
co la ciesa che merita riguardo
e el Munissi pio degno de rispeti;
non fuss' altro parchè l' è sta gaiardo
de rimboscar sti monti poareti,
che g'à l'ombra del Baldo par stendardo
che g'à l'erba più verde par tapeti...
E a la note, che musica ! De note
la fontana dà via tanta abondansa
che se nega la val de le "Pissote".
E mi me vien in mente la Santina
che malà per amor de la Finansa,
gh'è morèsto de sè la so piantina!